villa barbaro e le magie del veronese

18 Giugno 2020

Oggi voglio parlarvi di un luogo a me molto caro: Villa Barbaro a Maser.
La prima volta che ci ho messo piede risale a un giorno autunnale di dieci anni fa, quando fui chiamata a interpretare un piccolo ruolo all’interno di un film per la tv, Troppo amore, diretto da Liliana Cavani.
La villa era diventata in quel caso lo splendido set per un Convegno di Studi, durante il quale avveniva il fatale incontro tra i due protagonisti del film, un professore universitario e una studiosa di Storia dell’arte.
Ritrovarmi lì fu per me una doppia emozione: da un lato il brivido del set, dall’altro l’esplosione di Bellezza che mi rapiva da ogni angolo in cui posassi gli occhi.

Patrimonio dell’Umanità

Da allora ci sono tornata in tante occasioni e ogni volta era come la prima. Magia allo stato puro.
Mettici le architetture perfette di Palladio, a cui si deve l’impianto originario dell’edificio, mettici i sontuosi affreschi di Paolo Veronese, insomma tutto l’insieme ti lascia addosso un senso di sbalordimento difficile da contenere.
La villa fu costruita intorno alla metà del 1500 per l’umanista Daniele Barbaro, patriarca di Aquileia, e per suo fratello Marcantonio Barbaro, ambasciatore della Repubblica di Venezia, trasformando il vecchio palazzo medievale di proprietà della famiglia in una magnifica abitazione di campagna, che doveva conciliare allo studio delle arti e alla contemplazione intellettuale.

Il complesso della villa, che comprende anche un tempietto palladiano (ora a lato della strada asfaltata), è stato inserito dall’UNESCO nel 1996 nella lista dei patrimoni dell’umanità.
Sono profondamente grata a questo luogo. Vi confesso che fu proprio contemplando la facciata della villa dalla strada che mi venne l’ispirazione per scrivere il mio romanzo Per tutti gli sbagli (il primo volume del dittico, completato da Per tutto l’amore).

L’illusione di Paolo Veronese

È una costruzione che ti sorprende, perché si staglia senza preavviso nel paesaggio dei colli asolani.
Percorri la strada in auto, assorta nei tuoi pensieri, e boom!, all’improvviso si accende dinnanzi ai tuoi occhi tanta meraviglia.
Se l’esterno ti cattura per l’elegante imponenza, l’interno ti rapisce per il tripudio di colori e forme: quello realizzato dal pittore Paolo Veronese tra 1560 e 1561 è considerato uno dei più straordinari cicli di affreschi del Cinquecento veneto.
Il Maestro gioca con lo spazio architettonico e, a colpi di pennello, sembra quasi divertirsi a stupire con straordinari effetti illusionistici l’occhio dell’osservatore.

Ecco che, guardando una colonna o un pilastro, potresti domandarti: ma sono veri o dipinti?
E potresti avere l’impressione che alcune figure ritratte sulle pareti, animandosi come per magia, fuoriescano dallo spazio per salutarti o lanciarti un’occhiata maliziosa.

Il Tribunale dell’Amore

Percorrendo lo spazio, a un tratto troverai una piccola sala detta “Tribunale dell’Amore”, stanza che ha destato da subito la mia curiosità.
Solleva gli occhi e osserva bene l’affresco rappresentato sulla volta del soffitto.

Nella parte destra del dipinto puoi riconoscere una giovane sposa in ginocchio, tra il marito, che ha una cinghia in mano, e l’avvocato difensore, vestito di rosso. La ragazza sta per essere giudicata per la sua condotta. Chissà cosa avrà commesso di tanto grave…
Il giudice, vestito di verde, occupa lo spazio a sinistra. È seduto su una nuvola, tra due figure femminili: la Giustizia, che regge un mazzo di fiori in una mano e una clava nell’altra, pronta ad eseguire la sentenza; e poi Venere, nuda, che si mette un dito sulle labbra, come ad invitare la giovane sposa ad essere prudente nella testimonianza dei fatti.
La sposa sarà condannata o assolta? mi sono chiesta tra me, contemplando l’espressione della ragazza, che è un misto di preoccupazione e pentimento.
Non conosciamo il finale di questa storia dipinta, ma il volo festante di putti che dal cielo lanciano fiori induce a sperare nel lieto fine della vicenda.
Ci sarebbe molto da dire, lascio però a voi ogni spunto di riflessione che dal Cinquecento ci riporti ai giorni nostri.
A giovedì prossimo.

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