roma, gli incontri e caravaggio

11 Giugno 2020

Oggi voglio raccontarvi un fatto che mi è successo qualche giorno fa a Roma.
Avevo appena ultimato un impegno di lavoro e mi ero fermata per un istante in Piazza Navona, ammaliata come sempre dalla Bellezza che la contraddistingue.
A un tratto mi viene incontro una ragazza. Ci mettiamo a parlare e scopro con sorpresa che è una mia lettrice. Percorriamo qualche passo insieme e, quasi senza rendercene conto, ci ritroviamo nella piazza di San Luigi dei Francesi.
Claudia, così si chiama la ragazza, mi confessa di conoscere quella chiesa grazie alla trilogia ma di non esserci mai entrata, così la invito a farlo insieme a me.
Per chi non lo sapesse San Luigi dei Francesi è la chiesa dove Elena lavora al suo primo restauro dopo essersi trasferita a Roma (siamo all’inizio di Io ti sento). All’interno, nella Cappella Contarelli, sono custoditi tre dei dipinti più famosi di Caravaggio: il cosiddetto Ciclo di San Matteo, realizzato tra il 1599 e il 1602.
Faccio strada a Claudia verso quei capolavori. Mi allontano giusto il tempo di inserire nella cassetta sul muro la moneta che accende le luci della cappella (e penso alle volte in cui era Martino, in Io ti sento, a compiere quel gesto a due passi da Elena).
Mi volto e vedo San Matteo che come per magia esce dall’oscurità, ma più in là vedo qualcosa che mi sorprende più di quei capolavori: gli occhi lucidi di Claudia e l’emozione palpabile che mi arriva dal suo volto.
Mentre i minuti scorrono, le descrivo brevemente i dipinti.

Luce divina

È un piccolo viaggio che parte dal quadro a sinistra, la Vocazione di san Matteo, dove la luce, simbolo della grazia divina, diventa protagonista della scena, scandendone tempi e modi. E conduce i nostri occhi da una parte all’altra, in cerca di una risposta alla silenziosa chiamata di Matteo.
Gesù lo chiama in silenzio: la sua bocca è chiusa, ma è la sua mano destra a parlare nella potenza del dito indice. Matteo, avvolto dalla luce divina della chiamata, solleva il viso, incredulo, e si gira di scatto, indicando sé stesso. Sembra che stia dicendo: “Vuoi proprio me?”
“Si, proprio te” gli risponde la mano di Pietro, che ripete il movimento di quella di Gesù.
Una scena sospesa, taciturna ma fortemente eloquente.

Caravaggio, La Vocazione di San Matteo, 1599-1600, olio su tela, 340 x 322 cm, Roma, Chiesa di San Luigi dei Francesi
Luce violenta

Nel Martirio di san Matteo, invece, tutto è caos e tumulto.
La scena si sviluppa concentricamente intorno alla figura del carnefice nell’atto di colpire il futuro martire.
I personaggi sono disposti sulla tela con una coreografia quasi teatrale.
Al centro c’è san Matteo che giace a terra. Le sue braccia, aperte, richiamano la croce, ma è il carnefice a essere illuminato: è lui il vero protagonista sul quale deve agire la luce salvifica di Dio. In alto a destra, un angelo sinuoso si sporge da una nuvola per tendere a San Matteo la palma del martirio. Tutto intorno Caravaggio dispone gli spettatori della scena: alcuni guardano inorriditi, altri scrutano attoniti l’accadere delle cose, un bimbo scappa via impaurito.
Dallo sfondo sbuca il volto di Caravaggio stesso, che sembra domandarsi: “Cosa sta succedendo?” e “Perché tanta violenza?”
La calma di alcuni personaggi colpisce tanto quanto la violenza dei fatti.
Il gesto di Matteo che apre le braccia, una delle quali già nella fossa, prelude al finale: il sangue zampilla dal suo costato, è ferito a morte. Niente e nessuno potrà salvarlo: va in scena l’ineluttabilità del destino, accettata con forza consapevole e fiducia totale nella grazia divina.

Caravaggio, Il Martirio di san Matteo, 1600-01, olio su tela, 343 x 323 cm, Roma, Chiesa di San Luigi dei Francesi
Equilibrio precario

Lo sguardo di Claudia e il mio si posano, infine, brevemente sull’opera al centro della cappella, il quadro sopra l’altare, raffigurante San Matteo e l’Angelo.
Qui Matteo, fattosi santo, ha l’aspetto di un dotto e scrive di suo pugno il Vangelo, ispirato dall’angelo che, alle sue spalle, con un gesto sembra elencargli i fatti che dovrà narrare nel testo.
In questa tela apparentemente tranquilla lo spirito spregiudicato e rivoluzionario di Caravaggio si svela nella posa del santo: Matteo appoggia la gamba ad uno sgabello in equilibrio precario, quasi a sottolineare l’incertezza sui contenuti del testo che sta per essere scritto.

Caravaggio, San Matteo e l’angelo, 1602, olio su tela, 195 x 295 cm, Roma, Chiesa di San Luigi dei Francesi
Amo l’Italia

È un attimo e, all’improvviso, le luci si spengono. Buio. Penombra. Silenzio.
Ci avviamo verso l’uscita, dove ci salutiamo.
“Grazie” mi dice Claudia.
“Figurati, è stato un piacere” le rispondo.
“Dopo aver letto la trilogia, ho amato ancora di più l’Italia” aggiunge lei, timidamente.
Sorrido, altrettanto timidamente, e mi congedo da lei.

Mentre percorro la strada verso casa, quelle parole risuonano potenti dentro di me.
Perché anch’io, come Claudia, amo profondamente l’Italia, intrisa in ogni angolo di Bellezza, e nulla mi rende tanto felice quanto sapere di aver donato pillole di bellezza italiana ai miei lettori.
E camminando sulle stesse vie percorse quattrocento anni fa da Caravaggio (che abitava allora a tre passi da San Luigi dei Francesi, proprio dentro il Palazzo che oggi è la sede del Senato della Repubblica), ripenso alla luce potente delle sue tele.

Quella luce mi parla oggi più che mai, in quanto simbolo della grazia che investe tutti gli uomini e tuttavia lascia loro la libertà di aderire o meno alla speranza del bene.
Negli ultimi tempi forse abbiamo avuto l’impressione che di colpo la luce se ne sia andata.
Non basterà un interruttore a farla tornare come prima, lo sappiamo, ma basta poco a tenerla viva dentro i nostri cuori.
Ripartiamo da lì dentro, poi il fuori verrà…

Al prossimo giovedì.

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